Doors of the world
Abbiamo già incontrato questo giovane, formidabile fotografo portoghese giramondo nel primo numero del magazine. Allora protagoniste delle sue immagini erano le finestre. Ora, invece, sono le porte. Nel nostro servizio cercheremo di spiegare perchè. Oltre, naturalmente, ad ammirarle.
Tutto comincia quando il fotografo portoghese André Vicente Gonçalves intuisce che per indagare quale sia davvero il carattere di un edificio occorre concentrarsi sulle sue finestre. È lì, infatti, che interno ed esterno si incontrano. Sulla superficie trasparente del vetro, grazie a cui da dentro si può vedere cosa c’è (e cosa accade) fuori e da fuori, in certi momenti, si può sperare di sbirciare dentro. Ne è talmente convinto, Gonçalves, che focalizza l’attenzione solo lì. Non gli interessa riprendere un’intera facciata. Non gli interessa neppure scattare fotografie in cui le finestre siano in fila o accoppiate. Ne sceglie una alla volta. L’inquadratura è strettissima. Nasce così il progetto “Windows of the World”, che ha portato il giovane artista, diplomato in fotografia alla Universidade Lusófona di Lisbona e già oggetto delle attenzioni della CNN e dell’Huffington Post, dapprima in Romania e in Spagna, in Inghilterra e in Italia, e poi via via in altri Paesi come il Marocco, il Cile, il Belgio.
Goncalves non si accontenta di una porta alla volta, da celebrare e ammirare in solitudine. Preferisce metterle in fila, in modo da intercettare “l’espressione” che hanno le facciate degli edifici di un certo luogo.Quasi che le porte fossero bocche, così come le finestre sono occhi.
Ed è durante questi viaggi che Gonçalves ha avuto un’ulteriore intuizione. Se una singola finestra svela il carattere più vero di un edificio, guardare l’una accanto all’altra le finestre di una certa città o addirittura di un intero Stato rivela più in generale l’aria che tira da quelle parti. Per questo ha iniziato a pubblicare intere “scacchiere” di infissi giustapposti l’uno all’altro, a patto che venissero dallo stesso posto. E i risultati gli hanno dato ragione. Poi, pur non fermandosi dal raccogliere e archiviare finestre, Gonçalves ha abbassato lo sguardo e ha deciso di fare un lavoro analogo per le porte. Ha pensato infatti che se le finestre sono, in una facciata, gli occhi, le porte devono per forza di cose rappresentare le labbra. E visto che “gli occhi sono lo specchio dell’anima”, i conti tornano alla perfezione. Le finestre-occhi danno infatti accesso all’indole più profonda di un edificio, le labbra rispecchiano l’umore del momento. Se sono sorridenti, corrucciate, rilassate, distese… Se portano magari un rossetto o se sono sovrastate da baffi ben curati… Sono più immediate, a modo loro. Mentre gli occhi-finestre sono costanti nel tempo, le porte-labbra ci fanno capire l’attimo. Ecco quindi una nuova serie di scatti, raccolti sotto il titolo “Doors of the World”. Ancora una volta montate “a scacchiera”, com’era stato per le finestre, le porte ci si mostrano portando con sé un certo umore. Proviamo ad esempio a osservare quelle provenienti dal Cile. È vero, sono tutte colorate, decorate da pitture murali che coinvolgono pareti, stipiti e battenti in un’esplosione di forme e colori. Ci dicono di appartenere tutte a una sola famiglia, certo, ma ci fanno tutte uno stesso effetto? Un grosso cane che digrigna i denti levando il muso all’aria, volti sereni mostrati frontalmente, una giovane donna che sembra aggrapparsi a sbarre, una ballerina, un fiore… Non sono tutte espressioni diverse, in fondo? E poi passiamo a quelle inglesi. Quante volte abbiamo visto, in televisione o sui giornali, la soglia del numero 10 di Downing Street a Londra? È lì che va a stare il Primo ministro, una volta vinte le elezioni. Quando si insedia si ferma davanti alla porta – intelaiata in eleganti semi pilastri color crema, nel contesto di una facciata di mattoni neri, con battenti scuri – e saluta la folla di giornalisti e curiosi. Ecco, quella in Inghilterra è “la porta delle porte”. E tutte le altre… le somigliano! Certo, con differenze. Ma è come se ci dicessero di uno stesso umore condiviso dai sudditi della Casa reale. Quelle bocch… ehm, quelle porte possono assumere anche espressioni sbarazzine. Ma restano improntate a una nobiltà di sentire che rimane fuori discussione. Le sorprese però non finiscono qui. Accostando le porte del Portogallo e quelle del Marocco, possiamo giocare a trovare le somiglianze e le differenze. L’azulejo, la tipica piccola piastrella smaltata di ceramica che crea intarsi coloratissimi, c’è a profusione attorno alle une e alle altre. Inoltre i battenti sono “mossi”: in Portogallo spesso da parti in vetro e magari tendine interne, in Marocco da serie di grandi chiodi le cui teste costituiscono decorazioni, da traversine, da intarsi veri e propri.
Differenze? Be’, di linee dritte nel Paese nordafricano non se ne parla. Tutte le porte terminano con il tipico profilo dell’architettura araba, che prevede – dopo un restringimento alla sommità degli stipiti – un allargarsi ad arco che culmina con una punta. Mentre in Portogallo la situazione è più “tranquilla”. E infine – chi l’avrebbe mai detto? – c’è qualche cosa che accomuna anche Spagna e Belgio. Certo, non abbiamo dubbi che Gonçalves avrà fatto delle scelte ben precise, eppure… Be’, le porte che vediamo affiancate in queste pagine esistono sul serio. Non se le è inventate lui, né ha fatto scherzi mischiandole. E forse da qui potrebbe partire qualche altra ricerca. Se le espressioni delle porte-bocche in Spagna e in Belgio hanno delle affinità così forti, saranno da cercare anche nelle opere letterarie dei due Paesi? O magari in certi film girati nell’uno e nell’altro? O chissà, in qualche dipinto? Potrebbe diventare un gioco divertente, mettersi a cercare.
Adesso che grazie a Gonçalves abbiamo imparato a guardare come si deve porte e finestre, forse lo faremo anche quando visitiamo qualche città d’arte. E poi abbracceremo con gli occhi prospettive più ampie, che ci sembreranno ancora più nuove.