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A San Sisto che accolse Raffaello

Non tutti sanno che il maestro di Urbino dipinse la sua Madonna Sistina per la chiesa che si trova a Piacenza. Una grande mostra ce lo ricorda.

Le origini della chiesa risalgono all’Alto Medioevo, quando venne fondata nell’874 dalla regina Angilberga, moglie dell’imperatore Lodovico II. La donna volle questo monastero di benedettine – di cui divenne badessa nell’882 – con diritti e privilegi su vaste zone dell’Italia settentrionale. Nel corso dei secoli le sue celle ospitarono diversi ordini di monaci e monache, finché nel 1425 subentrò la congregazione benedettino-cassinese. Quella che vediamo oggi non è la chiesa del IX secolo: su di essa infatti venne eretto il nuovo edificio, progettato all’inizio del XVI da Alessio Tramello. Per San Sisto – in cui possiamo ancora scorgere il pregevole coro ligneo, alcune importanti pale d’altare e il monumento funebre a Margherita d’Austria – venne dipinta da Raffaello la Madonna Sistina, che i monaci vendettero nel 1754 ad Augusto III re di Polonia. Oggi l’opera è conservata alla Gemäldegalerie di Dresda, mentre nella chiesa c’è una copia a lungo attribuita a Pietro Antonio Avanzini (1656-1733).

“La Madonna Sistina di Raffaello rivive a Piacenza” è la grande mostra documentaria e virtuale che la Diocesi cittadina ha dedicato alla storia del capolavoro in questo 2021. Per gentile concessione pubblichiamo il testo che Tomaso Montanari ha scritto appositamente per il catalogo.

Mi sforzerò vendicare dalla morte quel poco che resta, el quale, benché sia poco, basterà a far testimonio di quello che non si vede più». In questa frase della lettera che Raffaello indirizza a papa Leone X l’anno prima di morire sembra racchiuso il destino della Madonna Sistina. Un destino fatto di assenza e di testimonianza, un destino soprattutto legato allo sforzo di vendicare dalla morte quel poco che resta di umano nel nostro tempo e nei nostri cuori. La Madonna Sistina rappresenta l’immenso patrimonio italiano perduto: perché non c’è più, perché l’abbiamo venduta, monetizzata, “valorizzata”. L’abbiamo fatto così tanto tempo fa, da farci capire quanto è lunga e quanto è profonda la decadenza del nostro rapporto con l’arte. Ma la straordinaria seconda vita di questo quadro ci ha permesso anche di capire quanto sia presuntuoso, e in ultima analisi sbagliato, continuare a ritenerci l’ombelico del mondo.Nella letteratura europea del Novecento non c’è forse opera d’arte che abbia avuto una fortuna paragonabile per ampiezza, profondità, implicazioni morali. Così la Madonna Sistina è divenuta un simbolo dell’impossibilità di racchiudere il patrimonio culturale dentro scatole nazionali: il che non vuol dire, si badi bene, che dobbiamo darla vinta al mercato, che considera tutto alla stregua di merci da far circolare liberamente (a differenza degli umani che, specie se di pelle nera, invece non possono affatto circolare): vuol dire invece che il significato profondo delle opere d’arte che amiamo non è identitario in un senso esclusivo ed escludente, ma è semmai identitario in un’accezione più profonda e più impervia: identitario della nostra comune umanità.La Madonna Sistina rappresenta anche una sfida sul piano dell’ermeneutica, dell’interpretazione: perché è un caso in cui a una qualità originaria e intrinseca davvero stratosferica (siamo davanti al divino Raffaello, al culmine della sua sovrumana potenza pittorica), si accosta una fortuna critica, cioè una sedimentazione di significati lasciati dai tempi posteriori alla sua creazione, non meno rilevante. Così che è facile capire che se, da una parte, il recupero filologico, rigorosamente storico, dei significati originari e la capacità di leggerne lo stile e la qualità sono la base irrinunciabile del nostro rapporto con ogni opera d’arte, non meno decisiva è la nostra capacità di leggerne la scia lasciata nei tempi che ci congiungono alla sua epoca. In questa scia inevitabilmente molti significati forzano, alterano, contraddicono quelli originari: e non c’è modo di risolvere questa contraddizione se non essendone consapevoli.Anche questi nostri tempi difficili hanno saputo aggiungere una sfumatura ai significati della Madonna Sistina. Tante volte, durante il confinamento da pandemia, ho ripensato alla saggezza della definizione di bellezza che dobbiamo a Simone Weil: «il bello è un quadro tale che lo si possa mettere nella cella di un condannato all’isolamento perpetuo senza che ciò sia un’atrocità, anzi il contrario». E quando mi sono chiesto quale quadro vorrei nella mia stanza pensando di non poterne mai più uscire, ebbene ho pensato che ne vorrei uno di quel Raffaello che, quando era vivo, sembrò vincere la natura, e morendo parve far morire con lui la natura stessa. Sono le parole che probabilmente Pietro Bembo dettò per la tomba di Raffaello. Che non è forse l’artista che abita di più il mio spirito (dove invece i più tormentati Rembrandt, Velázquez, Goya sono di casa…), ma dovendo provare a dire cosa siano il bello, la bellezza, ebbene è il nome di Raffaello quello che affiora alle labbra. Perché la sua – come scrisse Renoir della Madonna della seggiola – «è la pittura più libera, più salda, più meravigliosamente semplice e viva che sia dato di immaginare». Ma quale scegliere tra i quadri, immortali, di Raffaello?Ogni opera d’arte è come una persona viva: difficile (anzi, impossibile) dire quella che preferiamo a tutte le altre. Ma ogni volta che vedo la Madonna Sistina, mi viene voglia di farlo: di dire, cioè, che è il più bel quadro del mondo. Perché? Perché quando la vedi non ti viene voglia di niente altro: c’è dentro tutto.

La conosci certamente, la Sistina. Quando mi fui seduto, il mio pensiero fu: “Se tu fossi con me…”. Da quel quadro emana un incanto da cui non ci si può sottrarre.
Sigmund Freud

C’è la forza spirituale di un trittico medioevale – quelle pitture divise in tre parti, dove al centro c’è la Madonna, più alta, e ai lati due santi. C’è la fantasia di Mantegna, nelle ali coloratissime degli angioletti: mentre nei loro volti, famosissimi, c’è già tutta la leggerezza del Settecento francese. C’è il colore di Tiziano, che culmina nel rosso della fodera del piviale (che è il mantello) di san Sisto. Ci sono le nuvole morbide di Correggio: che nascono proprio da quelle che invadono il nostro quadro. C’è – nella santa Barbara dai colori acidi e dai gesti artificiosi e contratti – tutta la grazia complicata del Manierismo. C’è la gloria di angeli e di luce in cui Gian Lorenzo Bernini farà dissolvere il muro di San Pietro in Vaticano, con la sua Cattedra. Ma c’è anche il movimento del cinema. Perché la storia è questa: qualcuno ha appena tirato la logora tenda verde appesa a quell’asta cadente. Ed ecco che anche il muro della chiesa di San Sisto a Piacenza (per cui fu dipinta, rimanendoci fino al 1754, e da cui prese il nome) si apre. Sentiamo un vento caldo che ci soffia in faccia, ci scompiglia i capelli: e da quell’abisso di luce ci vengono incontro, piano piano, scendendo lungo un raggio di sole, Maria e il suo Bambino. Sisto ci indica, e parla a Maria: ecco, in questo preciso momento le sta dicendo i nostri nomi. Tra pochi secondi Maria metterà uno dei suoi piedi nudi sull’altare (quello dove Sisto ha poggiato la sua tiara, che è la corona dei papi): e poi sarà con noi, nel nostro spazio reale. E in Maria c’è la dolcezza infinita di Raffaello: che perse la sua mamma quando aveva otto anni, e che lungo una vita ne inseguì la tenerezza nei volti di ogni madonna. Qui l’ha trovata: in questo sguardo struggente di chi ci è vicinissimo, eppure è da noi separato. Anche Gesù è un bambino vero, un po’ a disagio perché non ci conosce: e infatti si tocca una gamba, e ci guarda sperduto. Raffaello doveva ricordare la morte di papa Giulio II, che era appena scomparso e che ha prestato il suo volto a san Sisto. Doveva dipingere un quadro sulla morte: ma ha creato il ritratto della vita.Ma la ragione per cui ho scelto questo quadro non l’ho ancora detta. Non ho detto quali corpi vivi vedo, quando la guardo. Quali persone quei pochi colori disposti su una tela sono capaci di evocare, per sempre.Ebbene, non si tratta di corpi e di persone del Cinquecento: le grandi opere d’arte suscitano lungo i secoli una vivace risposta scritta: e l’insieme di quei testi, la loro fortuna critica come dicono gli storici dell’arte, modifica per sempre la percezione delle opere stesse.Così oggi io non saprei più guardare alla Madonna Sistina senza le parole altissime, ultime, di Vassilij Grossman. Lo scrittore vide il quadro «la fredda mattina del 30 maggio 1955», insieme alle migliaia di persone che a Mosca lo salutavano nell’esposizione pubblica che precedeva la sua restituzione alla Germania dell’Est. Da un secolo, la Madonna Sistina era entrata nell’immaginario russo attraverso i commenti sperticati di alcuni dei più grandi scrittori di quel grande paese, da Herzen e Dostoevskij. Ma lo sguardo di Grossman andò oltre:Mi è finalmente chiaro che di tutte le opere capaci di colpire il mio cuore e la mia mente – opere create dal pennello, dal cesello o dalla penna – solo questo quadro di Raffaello non morirà fino a che l’uomo avrà vita. Anzi, se anche l’uomo dovesse estinguersi, gli esseri che prenderanno il suo posto sulla terra – lupi, ratti, orsi o rondini che siano – verranno, sulle loro zampe o con le loro ali, ad ammirare la Madonna di Raffaello…Ebbene, mai come in questi mesi ci siamo trovati di fronte alla concreta possibilità di un’estinzione del genere umano che lasciasse però intatto il pianeta. E così l’immagine delle nostre città svuotate dalla presenza umana e riconquistata dalla natura si è fatta realistica, insieme alla visione di Grossman: quella di un enorme stuolo di animali selvatici incantati di fronte alla Madonna Sistina. La letteratura artistica di ogni epoca e di ogni tradizione parla di animali ingannati da immagini più vive e vere del vivo e vero: ma qua non si tratta di forza mimetica. Si tratta della visione poetica di un intero mondo che piange per la scomparsa dell’umano, ravvisandone l’immagine più alta in quella Madonna: in un incantamento non sensoriale, ma morale. Quasi che solo lì, in quel quadro, avessimo ancora tutta la nostra dignità di umani, poco minore di quella degli angeli. C’è un passo del Vangelo in cui Gesù dice che Salomone in tutto il suo splendore non era bello come un giglio di campo, che oggi c’è e domani viene gettato nel fuoco: la Madonna Sistina sembra davvero, in questa pagina, l’unica immagine umana capace di avere quella bellezza naturale, semplice. Spoglia. Eppure capace di oscurare ogni altra bellezza: una bellezza che forse solo gli animali, nella loro comunione intima con il mondo naturale, possono comprendere fino in fondo.Vedo una giovane madre con un bambino in braccio. Come posso rendere la grazia della pianta esile, sottile che genera il suo primo frutto? Una mela pesante e ancora pallida. O quella di mamma uccello, alla sua prima nidiata. Oppure di una giovane femmina di capriolo: appunto la maternità e la fragilità di una ragazza – una bambina quasi. Dopo la Madonna Sistina una grazia simile non può più dirsi ineffabile, misteriosa. Con la sua Madonna Raffaello ha svelato lo splendido arcano della maternità. Ma non è a questo che si deve la vita imperitura della sua tela. Il corpo e il viso della Madonna sono la sua anima, perciò è così bella. C’è, in questa raffigurazione visiva dell’anima di una madre, qualcosa che la mente umana non riesce a cogliere. […]

Questo volto e questo sguardo riflettono un raggio di gioia sui volti di coloro che li guardano; l’artista che inventò tutto ciò aggiunge la propria gioia alla gioia dei destinatari dell’arte.

Friedrich Nietzsche

Ogni volta che leggo questo passaggio penso ai versi, terribili, di Primo Levi sulle donne nei campi di sterminio nazista: Considerate se questa è una donna,senza capelli e senza nomesenza più forza di ricordarevuoti gli occhi e freddo il grembocome una rana d’inverno.Sono due immagini opposte, eppure tenute insieme da un filo che non si può tagliare. L’espressione ineffabilmente piena della maternità che crea la vita, e lo svuotamento mostruoso di quella pienezza: due estremi della stessa umanità. Non divina la prima, non estranea alla banalità del male umano la seconda. Siamo noi a decidere quel che siamo. La bellezza della Madonna è legata saldamente alla vita terrena. È democratica, umana: è la bellezza di tante, tantissime persone – gialli con gli occhi a mandorla, gobbi con il naso lungo e pallido, neri con i capelli crespi e le labbra tumide. È universale. La Madonna è anima a specchio dell’uomo, e chiunque la guardi coglie in lei l’umano: è l’immagine del cuore materno, per questo la sua bellezza è intrecciata, fusa in eterno con la bellezza che si cela, profonda e indistruttibile, ovunque nasca e cresca la vita – nelle cantine e nei solai, nei palazzi e nelle topaie. Penso che questa Madonna sia l’espressione più atea della vita, di quell’umano a cui il divino non partecipa. E penso anche che esprima non solo l’umano, ma quanto di altro esiste sulla terra, fra gli animali, ovunque gli occhi scuri di una giumenta, di una mucca, di una cagna che allattano, ci lascino intuire e cogliere l’ombra mirabile della Madonna.Democratica e universale: tutto il contrario di quello che ci viene raccontato della bellezza, che sarebbe elitaria e legata alle nazioni, alle tradizioni, ai codici. Per Grossman la Madonna Sistina è il simbolo di una bellezza che tutti possono immediatamente vedere: magari non comprendendone le implicazioni religiose, storiche, politiche; eppure potendo specchiarsi in quel volto. Non c’è cultura fra gli umani – in nessuna epoca e in nessuna latitudine – che non abbia qualcosa che noi chiameremmo arte: è nella natura degli uomini creare bellezza. E la Madonna Sistina diventa in queste parole il simbolo di una lingua comune più veloce, più avanzata, più istintiva di qualunque politica internazionale. E, certamente, di essa più feconda e duratura. Perché il volto della madre non tradisce paura, e perché le sue dita non stringono il corpo del suo bambino con una forza che nemmeno la morte riuscirebbe a sconfiggere? Perché non fa nulla per sottrarre il figlio al suo destino? Ella offre il bambino alla sua sorte, non lo nasconde. Né il bambino nasconde il viso nel seno della madre. Fra poco lascerà le sue braccia, e andrà scalzo incontro al suo destino. […]L’umano nell’uomo va incontro alla propria sorte, che in ogni epoca fa storia a sé, è diversa da quella dell’epoca precedente. Un tratto comune c’è, però: il destino è sempre immancabilmente difficile… L’umano nell’uomo ha continuato a esistere su tutte le croci a cui l’hanno inchiodato, e in tutte le prigioni in cui lo torturavano. È rimasto vivo nelle cave di pietra a cinquanta gradi sottozero nei boschi da tagliare nella tajga, nelle trincee allagate vicino a Przemysl e Verdun. È rimasto vivo nell’esistenza monotona degli impiegati, nella miseria delle lavandaie e delle domestiche, nella loro lotta estenuante e vana con il bisogno, nella fatica spenta, senza gioia, delle operaie in fabbrica.Questo è l’unico passo dell’analisi di Grossman che non sono mai riuscito a condividere del tutto. O meglio, ho sempre pensato che ci sia un risvolto che egli decide di non esplicitare: è vero che la Madonna non ha paura. Ci guarda, e pur con il cuore in gola sembra aver fiducia in noi. È il bambino, è Gesù, che ha invece uno sguardo impaurito: ci guarda chiedendosi chi siamo davvero. Ho sempre pensato che quello sguardo sia una sorta di tremendo scandaglio, lanciato nelle profondità della nostra anima: siamo davvero umani? Siamo ancora umani? È ciò che si chiede quel bambino: e la risposta fa paura a lui, e deve fare paura a noi.La Madonna con il bambino e l’umano nell’umano: sta in questo la sua immortalità. La nostra epoca guarda la Madonna Sistina e intuisce il proprio destino. Ogni epoca fissa lo sguardo su questa donna con il bambino in braccio, e fra esseri umani di generazioni popoli, razze e secoli diversi si instaura un senso di fratellanza, dolce, commovente e doloroso insieme. L’uomo prende coscienza di sé e della propria croce, e comprende di colpo il legame prodigioso fra le epoche, il legame di quanto è vivo oggi con ciò che vivo lo è stato e non lo è più, e con ciò che invece ancora deve esserlo. […]Poi capii. La vista della giovane madre con il bambino in grembo non evocava in me un libro o una musica. Treblinka… […]Il ricordo di Treblinka era riaffiorato nel mio cuore senza che me ne rendessi conto… Era lei a calpestare scalza, leggera, la terra tremante di Treblinka, lei a percorrere il tragitto da dove il convoglio veniva scaricato fino alla camera a gas. La riconosco dall’espressione che ha sul viso, negli occhi. Guardo suo figlio, e riconosco anche lui dall’espressione adulta, strana. Così dovevano essere madri e figli quando scorgevano le pareti bianche delle camere a gas di Treblinka, sullo sfondo verde scuro dei pini. Così era la loro anima. […] Finalmente vedevo la verità di quei visi, l’aveva dipinta Raffaello quattro secoli prima. Così l’uomo affronta il proprio destino. […]È l’epoca dei lupi, l’epoca del nazismo: un’epoca in cui gli uomini vivono da lupi e i lupi da uomini. In quest’epoca una giovane madre partorisce e cresce il suo bambino, e il pittore Adolf Hitler si piazza di fronte a lei nella Pinacoteca di Dresda, per decidere il suo destino. Ma il dominatore dell’Europa non riesce a reggere lo sguardo, né riesce a reggere quello del figlio di lei: perché sono sguardi di essere umani. La loro forza umanissima ha avuto la meglio sulla di lui violenza. La Madonna è entrata a piedi nudi, a passo lieve nella camera a gas stringendo il figlio fra le braccia, sulla terra tremula di Treblinka. […] Ma noi tutti noi l’abbiamo riconosciuta, e abbiamo riconosciuto suo figlio, perché lei siamo noi. Il loro destino siamo noi, madre e figlio sono l’umano nell’uomo. E se il futuro porterà la Madonna in Cina o in Sudan, anche laggiù la riconosceranno come oggi la riconosciamo noi.La tela ci parla della gioia di essere creature vive su questa terra, è questa la sua forza prodigiosa e quieta. Il mondo intero – tutta l’immensità dell’universo – è schiavitù rassegnata della materia inerte, solo la vita è miracolo di libertà. La tela ci dice anche quanto deve essere bella e preziosa la vita, e che non c’è forza al mondo in grado di costringerla a trasformarsi in qualcosa che, pur somigliandole, non sia vita vera. La forza della vita, la forza dell’umano nell’uomo è enorme, e nemmeno la forma più potente e perfetta di violenza può soggiogarla. Può solamente ucciderla. Per questo i volti della madre e del bambino sono così sereni, sono invincibili. In un’epoca di ferro la vita, se anche muore, non è comunque sconfitta. […]Che cosa diremo al cospetto del tribunale del passato e del futuro noi uomini vissuti nell’epoca del nazismo? Non abbiamo giustificazioni: diremo che non c’è stata un’epoca più dura della nostra, ma che non abbiamo lasciato morire l’umano nell’uomo. E accompagnando con lo sguardo la Madonna Sistina, continuiamo a credere che vita e libertà siano una cosa sola, e che non ci sia nulla di più sublime dell’umano nell’uomo. Che vivrà in eterno, e vincerà.L’intuizione – più che artistica, profetica – di Grossman è quella di legare al culmine della bellezza umana di tutti i tempi l’abisso dell’abiezione umana di tutti i tempi: la Madonna Sistina a Treblinka! In questo scontro, la Madonna vince: e vince perché, nonostante tutto, essa è il segno che non abbiamo lasciato morire l’umano nell’uomo. Non potrebbe esserci una lettura più alta, più sconvolgente, più carica di futuro: è una lettura che ci interroga. Noi, che abbiamo avuto in sorte di vivere in tempi incomparabilmente meno terribili di quelli attraversati da Grossman, noi che però attraversiamo un mondo dilaniato dalla disumanità, dall’ingiustizia, dalla morte: ebbene, noi stiamo riuscendo a non far morire l’umano nell’uomo? Non è più possibile guardare la Madonna Sistina di Raffaello stanza interrogarsi su questo: senza porsi, cioè, la più capitale delle domande che nella nostra vita siamo chiamati a farci.Senza la lettura della storia dell’arte, la Madonna Sistina sarebbe un idolo incomprensibile e irrelato, ma senza l’illuminazione di Grossman (che poggia, a sua volta, su tutte le intuizioni letterarie precedenti), senza la sua capacità di connettere questa bellezza suprema all’abiezione più profonda del genere umano, la Madonna Sistina sarebbe un sublime pezzo da museo. E non la cosa viva.

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